lunedì 29 agosto 2011

4.6 RIEDUCAZIONE


 




La neurospsicologia sembra non avere dubbi: i disturbi di apprendimento durano nel tempo e costituiscono una condizione che può persistere, in misura più o meno evidente, per tutta la vita. Primo passo per affrontare il problema è non nasconderlo, non negarlo non fare finta di niente. Il dialogo con i genitori e con l’alunno stesso sono a mio avviso indispensabili.

Si possono individuare tre pilastri o cardini sui quali si devono reggere l’impegno diagnostico e riabilitativo, la vita familiare e scolastica:[1]

  1. Il benessere, la motivazione, la salute psicologica e la forza nel convivere e nell’affrontare una situazione difficile come è quella di un disturbo di apprendimento.
  2. I progressi nell’apprendimento, la possibilità di imparare, di coltivare i propri interessi culturali, di poter accedere all’informazione e alle materie di studio.
  3. Il miglioramento della propria situazione di difficoltà concreta - nella scrittura, nella lettura, nel calcolo - per tentare di raggiungere il maggior livello di capacità e di autonomia possibile.       

L’Associazione Italiana Dislessia (A.I.D.) ha elaborato alcuni principi guida condivisi dalla comunità scientifica e dai riabilitatori[2]:

1.Innanzitutto è importante la precocità dell’intervento. Prima si comincia, più vi è la possibilità di influenzare lo sviluppo della funzione. E’ consigliato avviare un’attività di recupero anche quando non si ha ancora una diagnosi certa, ma esiste solo la determinazione di un livello di rischio (vedi progetto “Star bene a scuola “).

2.L’attività rieducativa deve essere condotta da specialisti. Il logopedista e il riabilitatore specializzato nel campo e il suo coinvolgimento, se non può essere diretto, deve almeno esercitarsi con una supervisione dell’attività condotta dall’insegnante o dal genitore. E’ molto importante che il logopedista intervenga in epoca precoce, poiché esiste una sorta di finestra evolutiva, cioè di periodo più sensibile all’interno del quale gli interventi specialistici hanno maggiore efficacia. Vi sono esperti che sostengono che l’efficacia della logopedia si esaurisca , o comunque si riduca fortemente con bambini dopo gli otto anni, a meno che non persista la presenza di disturbi del linguaggio.

3.La rieducazione per essere efficace deve essere intensiva. Gli interventi troppo rarefatti (una volta alla settimana) sono scarsamente utili, mentre è raccomandata la quotidianità dell’intervento, realizzata attraverso la collaborazione tra il logopedista e l’insegnante. In altri termini, il logopedista può anche rieducare il bambino una o due volte alla settimana ma deve dare indicazioni perché l’attività venga riproposta tutti i giorni.

4.E’ importante che la rieducazione sia dominio specifico. La dislessia è un disturbo che coinvolge il linguaggio, pertanto il cuore dell’intervento non può non prevedere attività linguistiche o comunque che coinvolgano il linguaggi scritto.

5.Gli interventi devono essere prolungati nel tempo. Non si può certamente predeterminare la durata della rieducazione, tuttavia, se la dislessia  è un disturbo persistente per definizione, la rieducazione dovrà necessariamente essere condotta per un tempo consistente.

6.La rieducazione logopedica non è l’unico strumento di recupero non può essere continuata fino alla completa scomparsa delle difficoltà.  

La terapia logopedica è utile nelle fasi iniziali e solo fino a quando dà un vantaggio maggiorante rispetto all’attività didattica condotta  individualmente dall’insegnante.

7.Bisogna saper riconoscere il momento in cui la rieducazione deve essere interrotta per lasciare spazio agli strumenti compensativi. In ogni caso , gli strumenti compensativi e la terapia specialistica non sono alternative fra di loro.



Il metodo da me utilizzato a scuola fino ad un paio di anni fa, ancor prima di aver effettuato un approfondimento sui disturbi specifici dell’apprendimento, è quella precedentemente accennato, cioè quello consigliatomi dalle logopediste venute in classe ad effettuare le prove per il Progetto “Tutti i bambini vanno bene a scuola”. Il metodo rieducativo basato sul  testo: “I fonemi dall’ombra alla luce” scritto da Emanuela Angiporti edito nel 2004 da Omega Scuola[3] con la presentazione di Giacomo Stella, consiste in un percorso plurisensoriale facilitato per l’apprendimento della lettura e della scrittura. Il modello utilizzato cerca di portare l’attenzione del bambino sulla struttura fonologica attraverso l’impiego di indicatori diversi multisensoriali: udito-suono; vista/immagine-colore; tatto/tocco (uso delle mani). Primo obiettivo è quello di aiutare il bambino ad identificare, autonomamente, tutti gli elementi fonologici che compongono la parola, visto che l’input fonetico si dimostra insufficiente necessità di una facilitazione; attraverso stimoli visivi e tattili. Si parte dalla sillaba perché unità motoria minima di produzione del linguaggio. Essa, pur essendo unitaria, è però fatta di due componenti, per identificare i quali è stata data importanza all’aspetto visivo: colori diversi per marcare la differenza consonante e vocale. La distinzione viene poi rafforzata dal canale tattile, infatti in dotazione al libro vi sono dei pallini adesivi, ruvidi per le consonanti e lisci per la vocale, che il bambino incolla sotto le componenti della sillaba prima di leggerla. In tal modo, attraverso un’attività operatoria, compie concretamente l’esperienza di dare autonomia alle diverse componenti fonologiche della parola.                                                                                                                                             

 Nel  mio lavoro, alla ricerca dei vari metodi riabilitativi, ho trovato uno studio comparativo che vi riporto, anche perché è un valido sunto di varie tecniche riabilitative. Claudio Vio,[4] nel Convegno sulla dislessia di Messina del 2005, riporta, nella sua presentazione, i dati di  un lavoro di comparazione raccolti sui risultati ottenuti dopo un periodo di riabilitazione con le seguenti metodologie:

1.      neuropsicologico: si tratta di un intervento di mezz’ora due volte alla settimana nel quale il bambino legge da un libro, collocato nell’emispazio destro rispetto all’asse mediano del corpo, ad alta voce utilizzando una speciale apparecchiatura che  rimanda la sua voce all’orecchio destro.

2.      Modello a due vie: il bambino viene stimolato nella lettura di non parole  e nella ricerca di errori di parole omofone non omografe.

3.      Modello ad una via: l’intervento ipotizza che sia sufficiente stimolare il riconoscimento accurato e veloce di parole.

4.      Trattamento generico al computer: che prevede l’utilizzo di differenti giochi che richiedono il riconoscimento di grafemi isolati, di sillabe e di parole ( da citare soprattutto i giochi della coperativa Anastasiasis : “Invasori”, “Jolly”, “Battaglia navale” e “Papera”).

5.      Trattamento generico a tavolino: costituito da esercizi di lettura e scrittura con schede o libri improntati ad un rinforzo dell’associazione suono- fonema- grafema.

Sulle basi precedentemente citate, Vio sostiene che il metodo VIABC: è risultato essere il più efficace sia per la velocità di lettura del brano che di parole isolate. Presenta così con grande convinzione il software per il trattamento per la dislessia di P.E. Tressoldi:[5] WinABC 4.0.

Il programma è nato dall’esigenza di realizzare un software per il recupero delle difficoltà di velocità e correttezza di lettere in età evolutiva, che permettesse di presentare interi brani piuttosto che parole, sillabe e non parole isolate. La lettura dei brani proposti avviene all’interno di un libro aperto, in un ambiente grafico gradevole e originale. Il programma permette di verificare la velocità di lettura e memorizzare gli eventuali errori commessi. Le modalità di lettura possono essere adattate a molteplici esigenze terapeutiche e funzionali. La sintesi vocale permette di ascoltare le sillabe o le parole attraverso l’audio del computer con numerose possibilità di regolazione. Inoltre, le preferenze di lettura possono essere salvate e caricate automaticamente quando viene aperto il profilo che il programma crea per ciascun utente. Il profilo utente contiene i dati anagrafici e memorizza i risultati e permette di impostare una velocità di lettura ottimale, suggerita in base alle caratteristiche dell’utente.

WinABC propone 119 brani che vengono caricati da un’apposita finestra, dove è possibile vedere l’anteprima del testo.  Per ogni brano viene peraltro  indicato il numero delle parole e sillabe da cui è formato. Oltre ai brani formati con il programma, è possibile aggiungere testi a partire da file esistenti oppure digitarli direttamente nell’apposito spazio: in questo modo è possibile preparare anche brevi frasi.

Il software permette infine di memorizzare, su data base, la velocità di lettura la percentuale di errori e le impostazioni di ciascun brano letto. I dati sono accessibili in forma di tabella e di grafico e possono essere stampati. Al termine di ogni brano, diversi messaggi sonori sottolineano i risultati ottenuti nella lettura. Infine, per aumentare la motivazione all’uso del programma da parte dei più piccoli, WinABC contiene un gioco, il cui utilizzo può essere collegato dal terapista/insegnante al numero di brani letti e ai risultati ottenuti.

II termine stesso di rieducazione significa che qualcosa va ricominciato, ricostruito, assicurando nuove basi. Il fatto stesso che la rieducazione si presenti come una ripresa, un ritorno indietro per aprire una strada nuova, implica un certo numero di esigenze teoriche.

Non si tratta di crea­re una sorta di nuovo condizionamento mediante un appren­dimento che costituirebbe un addestramento artificiale ed un mascheramento dei disturbi reali. Solo il trattamento eziologico merita il nome di rieducazione ed esso presuppone la conoscenza delle cause. Il comportamento del rieducatore, infatti, può essere efficace solo in funzione della piena comprensione di ogni caso particolare e dell'adattamento del metodo a quel caso particolare.

Con­siderando la via percorsa dopo il disturbo originario come una deviazione patogena provvista di auto-accelerazione, il rieduca­tore si colloca al livello dell'origine della perturbazione, con tutto quello che ciò implica, cioè accettando all'inizio di inse­rirsi nell'universo di quel livello, di stabilire con l'allievo una reazione corrispondente, partendo dalla quale gli insegnerà a riorganizzare e a ricostruire tutto il sistema di relazioni adatte che il bambino non poteva costruire. La rieducazione è una ristrutturazione della relazione ed una ricostruzione del legame del bambino con gli altri.

Come ogni persona si stanca di più, volendo camminare sull’andatura di un'altra, se questa andatura è più rapida o più lenta della propria, così il bambino deve essere portato alla sua personale andatura, se si vogliono evitare alcuni fenomeni se­condari; deve essere educato in quello che si affermerà come il suo modo caratterologico di provare e di agire.

Con certi ragazzi, il metodo di rieducazione deve essere visivo, cioè deve mettere l'accento sulle sensazioni visive e sui mezzi audiovisivi, senza evidentemente farne un uso esclusivo. Sarà il caso dei bambini dall'attenzione labile ma con un buon contatto verbale e che rea­giscono sul momento.

Coi ragazzi più riservati e presto intimiditi, che non osano esprimersi, il metodo sarà piuttosto verbale, soprattutto agli inizi, per favorire ed intensificare la comunicazione, e per otte­nere quel minimo di distensione senza la quale lo stesso interesse sensoriale rischia di restare bloccato.

Per altri, infine, agitati ed irrequieti, che hanno bisogno di consumare energia fisica, l'aspetto gestuale e motorio del me­todo sarà agli inizi più accentuato.[6]

Spetta al rieducatore non rinchiudersi in un'ottusa schia­vitù nei confronti del metodo e rimanere, anche qui, adattando i mezzi disponibili, “centrato sul soggetto”.

In generale saranno senz'altro utili:[7] una buona consapevolezza fonologica nei primi an­ni della scuola elementare, affiancata alla linea dei numeri, alla tavola pitagorica o allo schema delle posizioni delle cifre e delle diverse unità di misura. Più avanti nella scuola si potrà introdurre l'uso della calcolatrice ed, eventualmente, del computer.

La disposizione delle lettere sulla tastiera diventa un sistema in più da memorizzare e automatizzare. Dopo i primi anni di scuola in cui il bambino può trovare vantaggi nella scrittu­ra a mano, anche perché può più facilmente integrarla con disegni o segni grafici prodotti spontaneamente, è comunque consigliabile l'introduzione all'uso del computer che, nelle produzioni scritte di una certa lunghezza e complessità, può fornire il correttore ortografi­co, oltre che sgravare della fatica fisica della scrittura stessa.

II correttore ortografico, di per se stesso, costituisce un valido aiuto nell'autocorrezio­ne, perché induce la decisione ortografica, cioè costringe il bambino a scegliere tra le op­zioni proposte dal correttore quella che gli sembra più adatta, in quella particolare circo­stanza, e lo porta a riflettere sul perché della scelta: utilissima attività metalinguistica e metacognitiva. Sarà quindi molto utile, per loro, ascoltare anziché leggere, per studiare, ricorrendo, ad esempio, alla registrazione di lezioni lette da altri, o all'uso di un programma informatico di “viva voce” o di “sintesi vocale” (la più diffusa a mio avviso è Silvia) o del libro parlato.

Fin dai primi anni di scuola, sarà indispensabile concedere a questi bambini alcuni strumenti compensativi. Per strumenti compensativi si intendono appunto strumenti informatici come scanner e programmi di sintetizzatore vocale, oltre che l’uso di specifiche misure dispensative, cioè di una serie di misure che riguardano i tempi di realizzazione delle attività e la valutazione delle prestazioni del bambino: lasciare più tempo per le verifiche, dare compiti più brevi per casa, ritardare l’inserimento di nuovi caratteri di scrittura (ormai è prassi nelle nostre scuole iniziare lo script dopo le prove per la dislessia, che, comunque, non si svolgono prima di dicembre), accettare le difficoltà ortografiche, limitare la lettura ad alta voce in classe, dare la possibilità di ricopiare meno degli altri, non dover studiare sul proprio compito scritto a mano, somministrare meno verifiche scritte e più orali. Sarà inoltre opportuno dispensarli da esercizi per loro inutili e spesso controproducenti come la memorizzazione delle tabelline, la copiatura del lavoro finito, anche se non è stato raggiunto il grado di ordine e precisione desiderato. Col tempo il bambino inventerà i suoi sistemi per scrivere in modo sempre più ordinato e comprensibile, fin dalla brutta. Per le difficoltà di calcolo può essere utile concedere loro supporti visivi di compensazione come la linea dei numeri, la tavola pitagorica, la linea delle equivalenze e, infine, solo dopo la quarta elementare, la calcolatrice.

Le misure dispensative consentono, quindi, di porre il bambino con disabilità specifica in una condizione paritetica con i compagni della classe.



[1]              Cfr. pag. 32 Biancardi A.- Milano G., Quando un bambino non sa leggere, Rizzoli 1999.
[2]              Cfr. da pag.103 a pag 105: Stella G., La dislessia: quando un bambino non sa leggere, cosa fare, come aiutarlo, Mulino, Bologna, 2004.


[3]              Angiporti E.(2004), I fonemi dall'ombra alla luce, Omega Edizioni Torino.
[4]              U.O. di neuropsichiatria infantile; per ulteriori informazioni vedi:  Tressoldi P. E. -  Vio C. (a cura di), Diagnosi dei disturbi dell’apprendimento scolastico. Ed Erickson, 1998.
[5]              Vedi nota 23
[6]              Cfr. Garnero L., Dislessia: una definizione in positivo, Libri Liberi 2006.
                 
[7]              Cfr. da pag.80 a pag.83  Stella G., La dislessia: quando un bambino non sa leggere, cosa fare, come aiutarlo, Mulino, Bologna, 2004.

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