lunedì 29 agosto 2011

1.2 PASSATO

Datare l’avvio a l’uso delle tecnologie nella scuola è molto difficile perché i fenomeni culturali non hanno una data precisa né di inizio né di fine, ma una data a mio avviso significativa fu quella del 1954, anno in cui Skinner pubblicò il celebre articolo: The science of learning and the art of teaching.

Per fare una breve panoramica tra gli autori che più hanno influenzato le teorie della progettazione, il primo degli autori  da prendere in considerazione, in ordine cronologico, è Tyler  (1949) che definisce la razionalità come il primo elemento della progettazione didattica  che ha una connotazione prescrittiva  che si inserisce all’interno della discussione sui curriculum nazionali. Tyler, per la realizzazione della  progettazione, propone l'adozione di alcune domande guida (finalità educative, organizzazione delle esperienze, ecc…). Allievo di Tyler, Bloom (1956) metterà un po’ di ordine nei criteri della valutazione avvalendosi delle tassonomie. Dopo di lui, Taba  (1962) basa la sua teoria sulla  diagnosi precisa dei  bisogni di apprendimento del  singolo individuo per far sì che  ottenga delle competenze spendibili nella vita anche professionale. Nel 1973 Gagné da il suo contributo alla progettazione curricolare con l’identificazione di quelle che lui definisce “condizioni dell’apprendimento”. Con Robinsohn (1976)  la differenziazione dei curriculum si fa più evidente: formazione culturale-personale da un lato e  preparazione professionale dall’altro. Diversa è la differenziazione curricolare operata da Kelly (1977) che si basa sul contesto di origine dei curricoli; il curricolo per Kelly è descrittivo e non prescrittivo. Arriviamo adesso alla visione che più condivido, il curricolo secondo Stenhouse (1975): processo che segue la metodologia di risoluzione dei problemi, il problem solving, la capacità di acquisire conoscenze  e capacità spendibili in qualsiasi ambito; è chi lavora a contatto con gli alunni che definisce il curricolo che non può quindi essere di tipo prescrittivo. Pellerey afferma che le teorie progettuali fin qui citate  non sono contrapposte, ma che, unite, contribuiscono ad un  sistema comune di risoluzione dei problemi. Pellerey definisce la progettazione come un procedimento razionale e sistematico,  e quindi coerente, di soluzione di problemi. Va evidenziato il suo concetto di  “complessità” in riferimento alle teorie sistemiche:  visione non più lineare, ma circolare.  La stesura dell’ ipotesi di lavoro prevede la selezione di alcuni elementi della realtà a seconda della pertinenza o rilevanza e quindi l’applicazione di quelli che lui definisce “filtri selezionatori”  cioè dei filtri pertinenti o rilevanti ai fini della progettazione. Pellerey definisce gli obiettivi didattici connessi ad una disciplina  come un obiettivo di performance  e quindi misurabile e verificabile.[1] Naturalmente questa carrellata non può e non vuole essere esaustiva, ma ha solo lo scopo di fornire un idea del fermento e del lavoro che è stato svolto in questo campo nei tempi di un recente passato.

Nel 1997 – 2000 è stato promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD) che prevedeva la formazione degli insegnanti sulle nuove tecnologie ed un finanziamento per l’acquisto di strumenti didattici tecnologici. Gli obiettivi del programma erano triplici:

1.        aumentare la professionalità dei docenti

2.        promuovere e sostenere l’uso di strumenti multimediali

3.        migliorare l’organizzazione del lavoro didattico e l’efficienza dei processi di apprendimento.[2]

Come gli insegnanti hanno vissuto l’avvento di queste  teorie e di queste nuove tecnologie? In verità, inizialmente in maniera non troppo positiva e, per capirne meglio le cause, farò riferimento a Rogers che identifica i seguenti fattori tra quelli che influenzano positivamente la diffusione dell’innovazione:



·   la semplicità dell’innovazione;

·   la compatibilità con i valori del gruppo;

·   la possibilità di sperimentarla;

·   la visibilità dell’innovazione;

·   il vantaggio deve essere  misurabile non solo in valore economico, ma anche rispetto ad altri fattori, come il prestigio e la soddisfazione.



Riflettendo su quanto appena scritto mi vengono in mente alcune considerazioni di Fierli[3] che si chiede se gli insegnanti vedono effettivamente questo vantaggio? Secondo me la maggior parte non vede il vantaggio, ma un “ulteriore carico di lavoro e sforzo volontaristico” perché, come spiga Fierli,  l’eventuale vantaggio economico è valutabile solo con un’analisi su vasta scala e non è agevolmente percepibile da una singola scuola.

Malgrado quanto detto fin’ora, dalla ricerca del progetto Multilab[4] la maggioranza dei docenti sono del parere che le ICT influiscano positivamente sulle capacità collaborative degli alunni e sulle loro capacità comunicative rendendo lo studio più piacevole: rafforzando la motivazione  migliorerebbe, quindi, anche l’apprendimento.



[1] MAMMARELLA N., CORNOLDI C., PAZZAGLIA F., (2005) Psicologia dell'apprendimento multimediale, E-learning e nuove tecnologie", Collana "Itinerari", Società editrice il Mulino
[2] http://www.pubblica.istruzione.it/innovazione_scuola/didattica/pstd/default_pstd.htm
[3]Fierli M. (2003), Tecnologie per l’educazione, Laterza, Roma-Bari.
[4] E’ un progetto pilota, di durata triennale, voluto e seguito dal Ministero della Pubblica Istruzione
prima dell’avvio della seconda fase del Programma di sviluppo delle Tecnologie Didattiche.

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